dicembre 28, 2011

No Man's Land : per una mappa geografica del jazz-rock europeo!


Quello del jazz-rock, in quanto teatro e laboratorio di sperimentazione totale, rappresentò certamente nei lontani Settanta un fenomeno europeo di grande impatto emotivo. La fusione per eccellenza, quella tra il jazz e il rock, si presenta come una No Man’s Land, una terra di confine dove strutture, strumentazioni e tradizioni extra-musicali di queste due rispettive realtà sonore s’incontrano senza stabilire una netta differenziazione, ma in maniera pacifica miscelano i loro ingredienti senza volontà di primeggiare sull’altra, dando piuttosto spazio ad un osmosi segreta ed equilibrata. Una “terra di nessuno” dunque, dove il jazz si apre a sfumature timbriche di diverse culture che coesistono magicamente dando vita ad un luogo d’azione d’ampio respiro percettivo. Voler fornire un quadro completo del panorama jazz-rock europeo degli anni Settanta risulta essere certamente un'operazione complessa, ma che possiede un suo fascino, dettato dalla curiosità di andare a scovare, anche in paesi poco considerati e che trascendono i classici confini del mondo musicale anglo-sassone, formazioni di spiccato interesse e d'indubbio valore artistico! Questo stimolo verso un'esplorazione libera, questo anelito verso l'ampia ricerca di una specifica tendenza sonora, potrebbe portare alla redazione di una sintetica "mappa geografica" del jazz-rock del vecchio continente, che per quanto incompleta, (sarebbe interessante capire qualcosa circa la situazione in Grecia e Portogallo) e perciò suscettibile di continui aggiornamenti man mano che ci s'imbatte in nuove "sorprese" o addirittura sensazionali scoperte, possa essere un ottimo strumento per orientarsi nelle ricamate e variopinte pieghe di un ventaglio ricco di proposte, testimoni appunto della diramazione del fenomeno stesso. L'operazione porta chiaramente in sé un suo saldo coefficiente di rischiosità, poiché se non è raro imbattersi in veri e propri "gioielli di creatività", allo stesso modo è molto probabile il doversi confrontare con ascolti ridondanti, privi di mordenti sia sul piano compositivo che sonoro, e visibilmente troppo vincolati ai loro modelli d'ispirazione originali. Questo è vero soprattutto se ci si confronta con realtà politiche e sociali come quella dell’ex Unione Sovietica, dove le novità che approdavano, se spesso elaborate in maniera pedissequa, e quindi risultanti noiose alle orecchie più abituate ai clamori occidentali, acquistavano però un significato tutto particolare per la gioventù locale, impegnate nella lotta verso una necessaria e troppo invocata libertà. Quando l'Europa musicale dell'inizio dei Settanta aveva già consacrato l'avvento della fortunata stagione del rock-progressive britannico, del kraut-rock tedesco e dei differenti focolari geografici di un folk oscillante tra revival e sperimentazione,si presentava anche come vasto terreno fertile pronto ad accogliere il nuovo seme piantato oltreoceano, e divenuto fiore maturo grazie alle fatiche di Miles Davis,Weather Report,Return To Forever o dell'indipendente Frank Zappa,capaci di sintetizzare e plasmare in materia nuova soluzioni già apparse nell'ambito del free-jazz e della New-Thing americana. E'importante però notare come personalità di grande spessore come Miroslav Vitous o Joe Zawinul dei Weather Report erano di origini europee (rispettivamente ceco e austriaco), come anche di nazionalità inglese era un John Mclaughlin, già presente in Bitches Brew e nei successivi dischi del periodo d'oro di Davis, e poi alfiere di un sound personalissimo con la Mahavishnu Orchestra. E lo stesso In A Silent Way (1969), uno dei primissimi brani elettrici di Miles porta la firma proprio del geniaccio Zawinul, ma a questo punto i riferimenti potrebbero essere molteplici e qui basterebbe solo confermare l'idea legittima che vede una poetica, quella del jazz-rock, nascere in un ambito tutto americano, fecondata però da un importante contributo creativo di matrice europea. Un evento fondamentale per la diffusione del nuovo verbo fu sicuramente il Festival dell'Isola di Wight del 1970, dove la storica performance di Davis e dei suoi "allievi",ovvero i giovanissimi Keith Jarrett,Dave Holland,Jake Dejonette, Chick Corea,Gary Barts e Airto Moreira, rappresentò un baluardo di rara bellezza musicale. L'ascolto dei 35 minuti di Call It Anything dovette essere rivelatorio per molti giovani musicisti lì presenti e spalancò le porte di un sound tutto nuovo, le cui potenzialità di sviluppo erano tutte da "immaginare" ed "esplorare". Nel tempio jazz di Montreux invece, altri importanti arrivi saranno poi quello di Zappa nel 1971,con la proposizione del suo lungo King Kong (brano del 1969),della Mahavishnu Orchestra nel 1974 (con il quintetto magico di Mclaughlin,Hammer,Goodman,Cobam,Laird ormai sciolto) e ancora di Miles nel 1973. Tuttavia, ancora prima di questi storici raduni della cultura musicale giovanile del tempo,era già iniziata l'epoca in cui musicisti del calibro di Robert Wyatt affermavano "Al diavolo il vostro Brian Jones...io ho i mie dischi di Mingus" e si aprivano alla ricerca del nuovo. La personale ricerca di Wyatt sulla musica afro-americana sarà fondamentale per la sua carriera solista, mentre nel 1970 vedrà la luce uno dei massimi capolavori del jazz-rock europeo, ovvero Third dei Soft Machine. Wyatt sarà il responsabile della "sofferenza trascendentale" plasmata in quel Rock Bottom (1974)che segnerà una sorta di passaggio epocale per la storia della popolar music occidentale. E' sicuramente all'interno della cosidetta scena della "Scuola di Canterbury" che va individuato il miglior laboratorio di sperimentazione per il jazz-rock britannico, dove accanto alla parabola ascendente dei Soft Machine si distinsero gli Hatfield & The North,i National Health,i Gilgamesh, i Matching Mole,il Keith Tippett Group, i Nucleus di Ian Carr o ancora i Gong del secondo periodo guidati da Pierre Moerlen. Lo spazio concreto della ricerca di Canterbury fu quello del collettivo dell’Ottawa Company, dedito all’improvvisazione e all’indagine di nuove soluzioni espressive, e che comprendeva tra le sue fila molti dei musicisti delle bands sopra citate. In Inghilterra l’esperienza del Canterbury Sound ha un importante rapporto di scambio con quella Music Improvising Company dei vari Evan Parker, Derek Bailey o Trevor Watts come anche instaura una relazione feconda con quei musicisti sudafricani che, Chris Mcgregor,Louis Moholo, Dudu Pukwana in primis,daranno un apporto fondamentale per la messa a punto di un certo sound afro-jazz. E senza dimenticare le poliedriche personalità di un Lol Coxhill o John Surman, impegnati nei più svariati progetti,come di una Carla Bley e di Michael Mantler (austriaco di nascita),occorre in questa sede dire che interpretazioni suggestive ed originali di jazz-rock erano anche quelle del periodo maturo dei Traffic,dei Colosseum,dei Back Door,dei Brand X,di Brian Auger, degli If,di Jack Bruce, della Ginger Baker Air Force, o ancora di formazioni minori del circuito progressivo come i Tonton Macoute o gli Affinity, come del resto elementi di jazz li troviamo in formazioni dalla maggiore complessità fisiognomica come King Crimson ed Henry Cow. Nella Germania colonizzata dai "corrieri cosmici", i pionieri del nuovo sound sono gli Embryo con la loro ambiziosa proposta di jazz-etnico e gli Annexus Quam con il loro jazz-spaziale.
Grazie anche all'apporto fondamentale di musicisti quali Mal Waldron e Charlie Mariano, gli Embryo coniarono una loro identità unica, che esplode trasparente in dischi come Father Son & Holy Ghost del 1972, Rock Session e We Keep On del 1973. Ma accanto a loro una posizione di tutto rispetto è occupata da Xhol Caravan, Out Of Focus,Opossum, Exmagma,Passport,Thirsty Moon, Association P.C,Brainstorm,Kraan,Dzyan, insieme ai progetti minori ma validissimi di Morpheus,Firma 33 o Aera, e alle divagazioni soliste di Eberhard Weber,Volker Kriegel o Wolfang Dauner,senza dimenticare la magia espressiva del Dave Pike Set, come la presenza nell’ambito dell’Improvvisazione Europea di personaggi come Joachim Kuhn o Alexander Von Schlippenbach.Altre formazioni invece, come i Tortilla Flat e gli Zyma sul finire del decennio, mostravano molte affinità con Canterbury. Nell'alta Scandinavia i cugini di primo grado degli Embryo sono gli svedesi Archimedes Badkar, fautori di una poetica che sposando i suoni del mondo riproduce atmosfere dense e vaporose allo stesso tempo,come già stavano facendo negli Stati Uniti gli Oregon di Ralph Towner e Colin Walcott. Sempre in terra svedese, dove era forte il lascito del grande Jan Johansson (scomparso nel 1968) accanto ai richiami jazzistici degli Samla Mammas Manna, vi erano gli ottimi Lotus e i non eclatanti Kornet, mentre alla Norvegia dei mostri sacri Jan Garbarek e Terje Rypdal (presente anche nel capolavoro di Morning Glory del 1973 con John Surman) si contrapponeva la Finlandia dei Wigwam, dei Finnforest e delle parentesi jazz del poliedrico Pekka Pojhola con i suoi differenti progetti (Pekka Pojola Group o Jupu Group),contemporanei a quelli di Jukka Tulonen, già leader dei Tasavallan Presidentti. Scendendo nella vicina Danimarca, timidi ma non privi di spunti interessanti d'ibridazione tra rock e jazz sono quelli proposti da Burning Red Ivanoeh e Secret Oyster. In Francia mentre brillava il violino dell'astro Jean-Luc Ponty (nel '73 in tour con Zappa in Europa e poi l'anno seguente con la Mahavishnu Orchestra, e ancora nel progetto collettivo New Violin Summit del 1971 con Wyatt,Dauner, Rypdal e Don “Sugar Cane” Harris) con una personalissima ricerca da solista, vi erano formazioni come Travelling e soprattutto i fantastici Moving Gelatine Plates che onoravano degnamente e con originale fantasia i progetti dell'orbita "Canterburiana".Più vicina alle dinamiche del free-jazz fu la follia degli stupefacenti Etron Fou Leloublan, come del resto quella dei Magma che però suggellarono un'ideale fusione di rock e jazz nell'omonimo doppio primo album del 1970.E da una costola dei Magma, ovvero quella del pianista Francois Cahen, ebbero vita le acrobazie sonore degli Zao. C’erano anche formazioni minori come Spheroe,Herbe Rouge, Transit Express o Edition Speciale, e se un gruppo come i Vortex mostrava buona inventiva, in terra francese le migliori proposte d’avangurdia trascenderanno tuttavia confini codificabili, dapprima con i Pataphonie e poi coi magistrali Art Zoyd. Nel confinante Belgio, se è riduttivo etichettare come jazz-rock una formazione come quella degli Aksak Maboul, poiché al pari dei cugini Henry Cow possiede ben altra ardimentosità e ricchezza di sfumature, vanno annoverati innanzitutto i Cos con i loro splendidi Viva Boma (1976) e Babel (1978), gli Arkham con una certa oniricità che li accosta al movimento “zeuhl” d’ascendenza “kobaiana” (Magma), i Placebo di Marc Moulin (per un breve periodo con gli Aksak Maboul) e i Pazop. Nell’Olanda di Misha Mengelberg, tra i protagonisti della suddetta scena improvvisativa europea, spiccano le atmosfere dei Supersister, accanto a quelle dei Pantheon, Scope e Solution, mentre in Svizzera dove emergeva il grande talento di Irene Schweizer, saranno gli Om del chitarrista Christy Doran e i Drum Circus di Peter Giger (già con i Dzyan) a fornire all’ascoltatore ideali atmosfere per un viaggio senza tempo. Tra le lande iberiche troviamo qualcosa di relativo all’oggetto di questa ricerca nella Spagna che vive il momento storico del "Nuevo Dia" post-franchista. Accanto al diffuso flamenco-rock dai toni sinfonici, rappresentato con eleganza soprattutto da Triana, Granada e Mezquita, formazioni come Iceberg, Compania Electrica Dharma, Jarka, Guadalquivir e Imam Califato Indipendente osano fusioni che non nascondono spunti interessanti ma che in qualche modo dimostrono l’indubbio debito nei confronti dei modelli americani (Chick Corea e Santana tra tutti). Nella Russia comunista i pionieri di un certo jazz-rock di buon gusto sono gli Arsenal, ma il loro primo disco del 1979 si colloca ormai lontano dalla stagione piu fervida del jazz-rock europeo. Ben diversa la situazione in alcuni paesi periferici del sistema sovietico, a partire dalla Polonia che sin dagli anni ’50 giova di una tradizione jazz di tutto rispetto. Qui, accanto agli indiscussi maestri Krzysztof Komeda, Tomasz Stanko, Jan “Ptaszyn” Wroblewski o Andrej Trzaskowski, emerge il virtuosismo cristallino di Michal Urbaniak (presente anche nel citato New Violin Summit con Ponty ed Harris) che con il suo violino ricama composizioni di grande intensità. Su orizzonti qualitativi ben differenti si collocano alcuni progetti di Wlodzimierz Gulgowski o Zbigniew Seifert, come troviamo formazioni “orecchiabili” come Extra Ball e Laboratorium, che rimandano anche ad alcune influenze jazz dei primi lavori progressivi degli storici Sbb. L’altro polo di ricerca più attivo è quello dell’ex Cecoslovacchia, dove notiamo il brio fantasioso dei Flamengo e alcuni sottili richiami esotici degli Jazz Q, accanto ad altri colletivi come Energit, The Blue Effect, Fermata e Mahagon. Infine, affrontando il discorso nei paesi dell’ ex Yugoslavia questo si fa un po imbarazzante, specialmente per chi, come gia detto in precedenza, risulta già assuefatto dalle vette espressive del più autentico jazz-rock. Tutti quei gruppi (tra cui Korni Groupa o Leb I Sol) che animavano il famoso raduno “pop” a Ljubljana oscillavano tra un pop-jazz, che sembrava banalizzare le migliori cose di Stevie Wonder, Steely Dan o Working Week, e un rock-sinfonico dai toni sdolcinati (inascoltabili entrambi direi) che riproponeva in chiave autoctona timidissime reminiscenze del robusto rock-progressive inglese. In questa valle di lacrime senza geni musicali, impossibilitati a nascere dal particolare clima sociale, possiamo citare il tastierista Tihomir Pop Asanovic, gli Izvir e i September come i tardivi Den Za Den del 1980 provienenti da Skopje. In ogni caso per trovare qualcosa di veramente interessante in quest’area geografica dovremo aspettare l’arrivo dello sconvolgente sound dei Begnagrad, a cavallo tra folklore e free-jazz, e lodati per la loro creatività dallo stesso guru Fred Frith. E approdiamo finalmente in Italia… L’esperienza nostrana in termini di contaminazione jazz e rock meriterebbe un articolo a parte, senonaltro per il suo indiscutibile contributo d’inventiva furibonda, che si colloca tra le vette dell’intero circuito europeo. L’inizio della stagione gloriosa del jazz-rock italiano può essere collocata nel 1972, anno del primo album Azimut del Perigeo. Che il quintetto formato da Claudio Fasoli,Franco D’Andrea, Bruno Biriaco,Giovanni Tommaso e Tony Sidney avesse una marcia in più era chiaro, come era facilmente percepibile la dimensione “extra-terrestre" del "maestro della voce" Stratos e degli Area. Se quest’ultimi dialogavano fecondamente con certa avanguardia di sapore elettro-acustico (Cage, Berio,Nono etc), fecero la stessa cosa i Dedalus, che dopo l’omonimo esordio del 1973 suggellarono il fantomatico Materiale Per Tre Esecutori E Nastro Magnetico l’anno seguente. Il periodo 1973-1976 si caratterizza per la ricchezza di spunti nuovi e il nascere di formazioni che abbracciano con convinzione il vento del nuovo linguaggio musicale. Il 1974 segna per esempio l’esordio degli Arti & Mestieri con il loro Tilt, Immagini Per Un Orecchio mentre il 1975 è emblematico poiché vede l’uscita di due perle irrepetibili, ovvero il Live In Montreux degli Agora e soprattutto il messaggio socio-politico insito in Napoli Centrale, dove gli spietati testi di denuncia s’armonizzano perfettamente con grooves densi e passaggi sax-piano elettrico esemplari. Se c’era una formazione che possedeva similitudini con l’area inglese dell’influente Canterbury fu quella dei Picchio Dal Pozzo, mentre ensemble come quello dei Living Life e Maad sprigionavano con sapienza una loro visione d’apertura etnicizzante. Tra gli altri protagonisti vanno poi citati Il Baricentro, i Maxophone, Duello Madre, Venegoni & Co.,gli Etna dei fratelli Marangolo, i Kaleidon, i Nova (che collaborano anche con Phil Collins in Vimana del 1976) o i misconosciuti Cincinnato.
E qui s'arresta temporaneamente il nostro percorso sul jazz-rock europeo, consci comunque che viaggiare tra le sue lande incantate vuol dire sondare, da Nord a Sud, da Est ad Ovest, sentieri forse ancora poco frequentati, i cui tesori però furono già consegnati in veste di cospicua eredità alle future generazioni.




dicembre 11, 2011

Skaven - Flowers of Flesh and Blood


Gli Skaven sono un quintetto proveniente da Oakland, California, dedito ad un death metal imbastardito con crust e black. Il nome trae origine da dei ratti umanoidi presenti nella serie di Warhammer, gioco di ruolo tra i più conosciuti al mondo.
Nati dalle ceneri dei Black Maggot e attivi dal 1995 al 1997, sfortunatamente hanno dato alle stampe solo tre releases ufficiali, due split, uno con i Dystopia e uno con gli Stormcrow, e un EP. Dopo l'unico tour fatto nell'inverno 1996, si sciolgono nell'anno successivo.


Flowers of Flesh and Blood è stato registrato con l'aiuto di Noah Landis dei Neurosis, dalla sessione in studio vennero fuori tre canzoni: Flowers of Flesh and Blood, Severed e The Swarm, le prime due finite sull'ep e l'altra pubblicata solo nel 2008 nello split con gli Stormcrow.
I due brani sono molto belli, il lavoro svolto dal chitarrista e dai due bassisti è egregio, il sound è sporco e pesante, con riff che possono ricordare anche i primi Dissection, alternati a rallentamenti e parti cadenzate quasi doom. Il cantante urla che è una meraviglia con voce aspra e graffiante e le parti vocali calzano benissimo con il resto. Il drumming è nella norma, il batterista fa il suo lavoro senza stupire, sarà anche per questo che è finito a fare lo squatter in Europa...