maggio 29, 2011

Murgia Music Festival



4/5/6 Agosto 2011 @ Villa del Sol Hotel Ristorante
3 giorni di Musica e Cultura
Immersi nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia


Sono aperte le iscrizioni al contest  


maggio 27, 2011

Chicago 1969-1974 : il ritmo di un treno irruente!


Conobbi i Chicago molti anni fa in viaggio con mio padre...la colonna sonora era una sequenza di brani formidabili racchiusi in una audio-cassetta da lui registrata e
succesivamente regalatomi...c'erano Pink Floyd, Caravan, Soft Machine, Emerson Lake & Palmer, Led Zeppelin, Perigeo, Beatles, Pfm, Blood Sweet & Tears e Brian Auger... Tra la lunga suite "For Richard" del gruppo di Canterbury e "Astronomy Domine" del folle Barrett (nella versione di Ummagumma del 1969) trovava posto pero' la suggestiva "Mother"... Il groove di quella canzone era trainante e il gioco dei fiati un labirinto di pensieri. Chiesi subito allora chi mai fosse quel gruppo...
Erano semplicemente i Chicago, originari proprio della città americana e formatisi nel lontano 1967.
Il breve riferimento ad una leggiadra situazione familiare serve in realtà solo come spunto... un pretesto per sottolineare come in quella magica raccolta, accanto a formazioni piu' blasonate e conosciute (di grande reverenza potremmo dire) c'era anche il sound inconfondibile di un gruppo che, pur non essendo "misconosciuto"(è il contrario piuttosto, dato il notevole successo), all'epoca come oggi veniva forse traslato in secondo piano rispetto ad altri "colossi" del periodo, quando invece sarebbe dovuto essere consacrato come geniale ensemble capace di plasmare con stile unico ed inconfondibile un potente jazz-rock (o meglio rock-jazz) che pero' affondava le sue radici anche nel funky e in un soave canto di gusto squisitamente soul, e strizzava l'occhio pure a divagazioni classicheggianti. E pensare che il primo Chicago Transit Authority, pubblicato nell'aprile del 1969 precede giusto di un anno il più influente Bitches Brew di Miles Davis.
Questo, sia chiaro, non per fare inutili paragoni e stabilire coincidenze, anzi...ma solo per osservare come il jazz-rock dei Chicago non aveva nulla a che vedere con la poetica del grande trombettista o quella dei Weather Report, le cui fusioni e sperimentazioni, insieme al free-jazz americano, saranno il punto di riferimento prioritario per il miglior jazz-rock del vecchio continente. La musica dei Chicago prendeva invece un'altra e totalmente diversa scia d'interpretazione delle sonorità "black" di quel tempo, trovando magari dei compagni d'immaginario negli americani Blood Sweat & Tears già citati, o negli europei Colosseum, If e Passport.
Ma, al di là di ogni contestualizzazione storica... due sono le sole parole che possono descrivere l'anima di questo settetto d'incredibile osmosi: treno ed irruenza! Quello dei Chicago è in effetti un treno irruente, una locomotiva fumante che corre nelle deserte praterie portando con sè il battito avvolgente della sua ritmica incalzante.
Il doppio Chicago Transit Autorithy è già in partenza un capolavoro; il brano d'apertura "Introduction" da inizio alle danze e già contiene l'essenza di tutto il disco...aggressività percussiva, rudezza chitarristica, delicatezza e impetuosità fiatistica, brillantezza ed effervescenza pianistica e organistica...tutti ingredienti che si trovano alternati nel periodo d'oro della band tra il 1969 e 1974. Nell'album d'esordio spiccano anche "Listen", "South California Purples" e la celebre versione di "I'm man" degli Spencer Davis Group capitanati dal futuro Traffic Steve Winwood, mentre la chitarra di "Poem 58" è il ruggito di un leone feroce. Il successivo Chicago del 1970 è ancora un doppio album e contiene le due suite "Ballet For A Girl In Buchannon" con la fantasia flautistica di "West Virginia Fantasies", e "Memories Of Love" con le esplorazioni classiche di "Prelude" e "A.M. Mourning", ma soprattutto due importanti cavalli di battaglia delle future performances live : l'altra mirabile suite "It Better End Soon" e la mitica "25 or 6 to 4". Il secondo lavoro migliore della band è sicuramente Chicago III del 1971, terza tappa di una parabola crescente, un ennesimo doppio che non fa altro che confermare la maturità già posseduta nei precedenti lavori e l'intesa perfetta tra i sette compagni d'avventura. S'inizia con le tempestive "Sing A Mean Tune Kid", "Loneliness Is A Just A Word" e "I Don't Want Your Money", poi vi è sempre un ideale suddivisione del repertorio in suite, tra cui "Travel Suite" con lo splendido tema per flauto di "Free Country" e la mirabile "Elegy," con la soffice "Once Upon A Time"...e il finale dirompente di "The Approaching Storm" con un James Pankow formidabile al trombone. E' qui che è contenuta inoltre la già citata "Mother", la cui audace esecuzione dal vivo è testimoniata da un bel documento-video* che, al di la dell'impatto sonoro, ci restituisce molto bene la dimensione scenica della band : batteria avanzata pronta a sferrare il primo colpo...ai lati di essa basso e chitarra, organo in posizione defilata di controllo...fiati in retroguardia per il contrattacco...l'unica arma...il magma bollente di un sound impeccabile. Il successivo Chicago Live At Carnegie Hall è un maestoso quadruplo album registrato dal vivo, fedele confidente delle capacità strumentali dal vivo. Con V il discorso non cambia..."A Hit By Varese" è uno dei più bei brani di sempre della band, insieme alla ballata "All Is Well" e alla formula vincente dell'organo in "Now That You've Gone". Da Chicago VI il sound inizia invece ad indebolirsi pur sopravvivendo una certa inventiva in brani come "Hollywood" e "What's This World Coming To". L'ultimo sussulto del solitario viaggio dei Chicago è VII, un ottimo disco che loda sempre le qualità compositive e improvvisative del gruppo, come in "Aire", "Italian From NY" e la lunga "Devil's Sweet". Da questo momento in poi il treno rallenta, pur proseguendo con una produzione discografica regolare per tutti gli anni Settanta e Ottanta (che del resto consacrerà un ampio successo di vendite), ma perdendo sempre più quell' irruenza ed efficacia tipica del suo sound maturo, tralasciando, almeno nel nuovo repertorio in studio, quella base di potente rock-jazz, entrando piuttosto in una fase da molti definita "romantica", dove gli elementi sonori abbracciano piuttosto la facile morbidezza o l'eccesiva "sdolcinatura" di tanto soul e rhythm & blues dal sapore "dance", con esiti inevitabimente (e tristemente) più commerciali, lontani ormai dalle lucide intuizioni musicali degli esordi.



Interno di Chicago Transit Authority, 1969





Discografia Chicago 1969-1974


Chicago Transit Authority 1969 (2Lp)
Chicago 1970 (2Lp)
Chicago III 1971 (2Lp)
Chicago Live At Carnegie Hall 1971 (4Lp)
Chicago V 1972
Chicago VI 1973
Chicago VII 1974


Formazione


Robert Lamm / keyboards and lead vocals
Peter Cetera / bass and lead vocals
Terry Kath / guitar and lead vocals
Daniel Seraphine / drums
James Pankow / trombone
Lee Loughnane / trumpet and background vocals
Walter Parazaider / saxophones and flute






maggio 24, 2011

Il colore venuto dallo spazio


"...Ci sono suoni che non possiamo percepire. A ciascun estremo della scala ci sono note che non fanno vibrare alcuna corda di quello strumento imperfetto che è l'orecchio umano. Sono troppo alte o troppo basse..."
"...E' noto ai marinai che un branco di balene che si scaldano o si rincorrono sulla superficie dell'oceano, a parecchie miglia di distanza l'una dall'altra, separate dalla convessità della terra, talvolta si immergono nello stesso istante: spariscono tutte in un attimo. Il segnale è stato dato...troppo basso per l'orecchio del marinaio in coffa e dei suoi compagni sul ponte...che tuttavia sentono le sue vibrazioni nella nave, come le pietre di una cattedrale sono fatte vibrare dal basso di un organo..."
"...Come avviene con i suoni, avviene anche con i colori..."
"... L'occhio umano è uno strumento imperfetto: la sua gamma è solo di poche ottave della 'scala cromatica' reale. Io non sono matto; ci sono colori che non possiamo vedere..."

Questi sono frammenti di alcune riflessioni conclusive del racconto "La Cosa Maledetta", scritto da Ambrose Bierce nel 1893.
Riflessioni non pensate e scritte dall'autore del racconto, ma dal defunto protagonista della vicenda: Hugh Morgan. Il suo diario viene analizzato dal Coroner, in presenza di oscuri giudici, al fine di riuscire a sentenziare la causa della cruenta e spietata morte di Morgan. La vista del suo corpo fatto a brandelli provoca solo vomito e nausea dei presenti. Chi ha fatto ciò? Mr. Harker è l'unico testimone, colui che ha assistito all'assassinio poichè ha accompagnato Morgan nel suo ultimo pomeriggio di caccia nel deserto americano. I suoi sensi però, possono solamente permettergli di raccontare ciò che ha visto: un corpo sballottato da destra a sinistra, avanti e indietro, scomparendo alla sua vista di tanto in tanto.
Verdetto dei giudici: Morgan ha avuto un attacco di cuore; Mr. Harker è abbastanza maturo per essere rinchiuso in un manicomio.
L'unico uomo a credere nell'esistenza di una malvagia Cosa invisibile è Morgan. Questo si deduce leggendo il suo diario. Eppure gli scienziati possono oramai dimostrare la presenza dei cosiddetti raggi "attinici": colori che l'uomo non riesce a distinguere. Questo significa che la Cosa esiste per l'uomo di Scienza, ma non per l'imperfetta mente dell'uomo comune; un cane percepirebbe la Cosa, grazie al suo fiuto acuto. Se delle bende coprissero i nostri occhi e qualcuno ci accompagnasse in un qualsiasi bagno di un treno fermo italiano (Trenitalia), non avremmo molte difficoltà a capire quanta urina ci si sta incollando sotto le nostre scarpe. L'odore crea immagini nella nostra mente. L'odore del pollo arrosto crea nella nostra mente l'immagine del pasto. Siamo esseri imperfetti e vittime dell'abitudine. Se il pollo, da oggi in poi, mutasse il proprio odore, continueremmo a mangiarlo? La fame ci porterebbe a tapparci il naso e a divorarlo comunque. Bisogna mangiare solo quando si è molto affamati. I serial killer potrebbero insegnarci qualcosa in merito.

Molto interessante è la storia del protagonista del romanzo "L'uomo invisibile" scritto da H.G. Wells nel 1897.
Il signor Griffin è un eccellente scienziato che dedica lunghe notti ai suoi ultimi esperimenti, che hanno come scopo la ricerca dell'invisibilità. Ovviamente ci riesce.
Fermatevi un attimo e riflettete su quello che sto per dirvi: cosa fareste da persone invisibili? Immaginate come potreste diventare milionari in breve tempo rapinando banche, oppure a quante Lamborghini potreste rubare facilmente recuperando le chiavi tranquillamente dal cassetto di una concessionaria; pensate a quanta gente potreste ammazzare senza esser visti oppure a quante mummie potreste rubare dal Louvre; riflettete su tutto ciò che diventerebbe più semplice possedere e fare da persone invisibili. Vi posso assicurare che è davvero divertente esserlo. Ma sappiamo tutti che i problemi e gli ostacoli, anche in questo caso, non ci farebbero attendere a lungo.
Se qualcuno scoprisse il nostro stato di invisibilità? Se il mondo intero lo scoprisse?
Caliamoci un attimo nei panni dei visibili. Non è molto difficile aver terrore e paura di una persona che i nostri occhi non vedrebbero. Non sapremmo come picchiarlo e catturarlo. L'uomo invisibile intanto girovaga nudo per le strade e quindi senza un paio di scarpe ai piedi o un cappello in testa o un paio di guanti o una canottiera che ci orienterebbero appena. Avremmo paura. La paura penetra dentro di noi e ci trasforma in killer senza pietà. Certo è che la paura unisce...la gente si allea contro l'uomo invisibile. Nessuno più ha la minima intenzione di accettarlo poichè è particolarmente diverso. Non è un africano nero, ma peggio...è un uomo invisibile. E da questo momento in poi la vita dello scienziato diventa un dramma. Ha creato un mostro da abbattere poichè pericoloso: ladro, delinquente, assassino, diverso, invisibile. Per strada non ti saluterebbe nessuno in due casi: restando completamente invisibili oppure travestendosi con bende, occhiali da sole rubati dai senegalesi e un cappello che servirebbe solamente a coprire un volto fantasma. Diventi ancora più invisibile e sospetto. Sarebbe davvero difficile trovare una donna che accetterebbe di fare sesso con un pene invisibile.
Insomma...nel momento in cui l'invisibilità diventa una mostrusità, all'uomo ignorante, senza un minimo di conoscenza scientifica e dannatamente superstizioso, non gli resta che eliminarlo dalla faccia della terra. Ma in questo caso l'assassino chi è? Vi propongo la risposta: la paura nei confronti della diversità.

Bene...come sempre accade (per quanto mi riguarda), leggendo romanzi e racconti della seconda metà dell'Ottocento mi ritrovo davanti a scrittori di alto livello letterario e di colta immaginazione.
Le mie, sono state semplici riflessioni sul tema dell'invisibilità, ma ovviamente vi consiglio di immergervi nei mondi creati dagli autori di queste opere d'arte, caratterizzati da gotiche atmosfere e un bel pò di sano umorismo nero.

Nota: il titolo dell'articolo riprende un racconto scritto da Lovecraft nel 1927 intitolato "The Colour Out of Space" che altro non è che una versione/omaggio arricchita di particolari de "La Cosa Maledetta" di Bierce. Infatti il protagonista del racconto di Lovecraft si chiama Ammi, diminutivo di Ambrose (Bierce).

I titoli originali dei libri presi in questione sono:
- "The Damned Thing" di Ambrose Bierce (1893)
- "The Invisible Man" di H.G. Wells (1897)


maggio 16, 2011

Wildbirds and peacedrums



04-05-2011 Circolo degli artisti, Roma.


“It was a great marriage” aveva esclamato una
donna a Villa Celimontana, a pochi passi dalle Terme di Caracalla, nel pomeriggio caldo pungolato dal venticello del maggio romano. Il grande matrimonio celebrato era quello tra il suo piccolo figlio e la figlioletta di una sua amica che si rotolavano e crogiolavano nell’ammucchiata di foglie secche rastrellate tra gli alberi. Beati fanciulli. Ma in realtà il vero grande matrimonio del mio breve soggiorno nella capitale si è rivelato quello tra Mariam Wallentin e Andreas Werliin conosciutisi nel 2004 all’accademia di arte e musica drammatica di Goteborg, Svezia. Il loro amore si è celebrato a Berlino un anno più tardi. Non è soltanto una meravigliosa storia d’amore la loro, ma è anche una storia di passione ardente per la musica, comunione musicale. Tutto nasce da qui. Lasciata la torre d’avorio dell’accademia i due formano una band, Wildbirds and peacedrums. Lei canta: esile usignolo dalla voce mesmerica e dall’impostazione soul e blues che emerge soprattutto nei primi due ottimi ellepì Heartcore e The Snake; lui picchiatore rovente della batteria e percussioni varie: inesauribile assistente e fedele compagno della moglie - Iniziamo sempre con le parole che scrive Mariam, poi cerchiamo uno o due elementi che stiano bene con queste -–può essere un ritmo o un suono e poi partiamo da lì. Per me è una liberazione scrivere musica in questo modo -–non ho bisogno di coprire molto la voce di Mariam, posso suonare un ritmo semplice e fare affidamento sui silenzi. Manteniamo molto spazio nelle registrazioni e sembra che chi ascolta riesca a riempirlo da sè -– un ascoltatore di musica jazz ci sente fiati e linee di basso mentre un punk ci mette delle chitarre frantumate!
Mariam irrequieta agita le braccia, le mani sprizzano energia disegnando movimenti sinuosi e lenti, una danza sensuale. Concerto sensuale. S’aiuta con delle bacchette, proiezione delle sue mani affusolate, miscelando nel pentolone magico, la steel drum, una salsa dal lieve sapore metallico e orientale che è il leitmotiv del sound dell’ultimo disco In rivers, interamente presentato nella fresca serata del Circolo (non ricordo un Circolo degli artisti così fresco). S’inizia con Bleed like there was no other flood riarrangiata con una tastiera dal sapore retrò rispetto al disco dove fondamentale era l’impronta della Schola Cantorum Reykjavik Chamber Choir, il coro che animava i solchi crepitanti alla ricerca delle atmosfere oniriche di Eyes wide shut. Nel finale del secondo brano, Tiny holes in this world, Mariam si stacca dal microfono e s’avvicina (quasi) in bilico sul proscenio sorretta da un’ avvolgente tastiera post-rock: Dea ci sovrasta e canta con il cuore in mano liberando docili frustate, brividi scorrono lungo i corpi schiavi e sedati dell’esiguo ma caloroso pubblico accorso. Minuti di estasi che valgono il prezzo del biglietto. Segue la desolata Under land and over sea a completare i primi tre brani di In rivers eseguiti in un unico movimento, una suite memorabile. The Lake e The Well rallentano il passo spingendoci in lande pop e lambendo il languido firmamento degli ultimi Beach House. Fight for me incalza irresistibile con Werliin che gioca di classe sul jam block: ritmo latino calato in un’atmosfera oscura e mistica, infestata di fantasmi. La deliziosa ninna nanna The Drop e la commovente ballata The Course surriscaldano il palco per la gemma Peeling off the layers: Mariam sembra sollevarsi da terra e raggiungere le corde vocali della più grande chanteuse degli ultimi vent’anni, Bjork. I due scompaiono dal fumoso palco per riapparire acclamati e rinfrescati e congedarsi con la splendida The Wave: l’onda che cresce e cade.



'Cause just like a wave,
rise
And just like a wave,
fall
It's a never ending movement,no

Like everything is moving.



Tutto si muove come un’onda, un movimento infinito di cui anche noi, ipnotizzati, facciamo parte; un movimento, ahimè, destinato a fermarsi, ma a restare indimenticabile come quello dei bambini innamorati tra le foglie secche di un pomeriggio romano.





Un ringraziamento speciale a Raffaella, Giulia e i suoi amici percussionisti per il sostegno tecnico-morale alla realizzazione di questa recensione.

maggio 15, 2011

Kraut Rock


Negli anni '70 mentre Europa e Nord America erano destabilizzate dal terremoto del punk prima e dallo tsunami New Wave poi, ci fu una nazione che riuscì a non farsi contaminare del tutto dall'onda d'urto. Anzi, riusì ad essere un centro nevralgico della sub cultura avanguardiaristica europera (e non solo); cosa che del resto è anche oggi. Non a caso personaggi come Bowie ed Iggy Pop in quegli anni (i Liars oggi) abbandonano le coste americane ed australiane  per andare a respirare l'aria della sua capitale. Ed in quel periodo la Germania tutta è fucina di avanguardie e sperimentazioni diverissime tra loro, ma accomunate dal Made in German. Nascerà così la dicitura Kraut Rock (inizialmente ha un'accezione dispregiativa coniata dai soliti britannici "superiori e spocchiosi") per identificare diversi gruppi che in quel periodo danno prova di grande creatività ed ecclettismo. Tra progressive, sperimentalismo estremo, elettronica binaria, derive cosmiche, danze freak ed arbori new age vengono partoriti veri gioielli della musica contemporanea.

1) Paperhouse - Can (Tago Mago 1971)
2) Freak 'n' Roll - Ash Ra Tempel (Join Inn 1973)
3) Man Machine - Kraftwerk (S/T 1978)
4) Hallogallo - Neu! ( NEU! 1972)
5) The Sad Skinhead - Faust ( Faut IV 1973)
6) Birth of Liquid Plejades - Tangerine Dream (Zeit 1972)
7) Totem - Klause Schulze (Picture Music 1975)
8) Kyrie - Popul Vuh (Hosianna Mantra 1972)

maggio 10, 2011

FAHRENHEIT 451


Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Ray Bradbury del 1953, la sceneggiatura è quasi identica al libro, cambia il finale. Nel 1966 François Truffaut darà alla luce un (capo)lavoro da lui considerato tra i suoi minori, sicuramente distante dalla precedente filmografia ma a detta di molti tra i suoi migliori. Per la prima volta il regista si mette alla prova con il colore ottenendo risultati eccellenti, un giovanissimo Nicholas Roeg alla fotografia fa intendere che c’è della stoffa, le musiche di Bernard Herrman contribuiscono a rendere il tutto molto affascinante. Notevoli anche le interpretazioni dei due attori protagonisti: Oskar Werner nei panni del pompiere Montag e Julie Christie sdoppiata in due ruoli diametralmente opposti: la gelida moglie Linda e la giovane e spensierata Clarisse. Il film è ambientato in un futuro surreale dove i pompieri invece di domarli i fuochi li appiccano, in uniforme nera stile Gestapo vanno in giro su una strana vettura rossa alla ricerca di libri da bruciare (Fahrenheit 451 è la temperatura di autocombustione della carta). Una forma di repressione culturale e sociale viene imposta attraverso il divieto alla lettura e da un sistema di telecomunicazione pilotato, “la grande famiglia”, atto a rimbecillire chi guarda…vi ricorda qualcosa? Montag è un agente/pompiere molto diligente, piace ai suoi superiori perchè non fa domande, fino a quando non incontra Clarisse che grazie alla sua curiosità innocente fa squillare la sveglia nella testa del protagonista che dopo qualche perplessità si accorge di essere vittima di un sistema malato, inizia a leggere e non riesce più a farne a meno. Quando Montag decide di mollare tutto viene scoperto, è un trasgressore, un ribelle, fugge al di là del fiume (nel romanzo è inseguito da un cane/macchina) dove si imbatte negli uomini/libro, questi riuniti in una comunità imparano a memoria ognuno un libro così che nessuno potrà mai portarglielo via.Il ritmo del film è sempre piuttosto alto, non ci si annoia neanche un po’ anche grazie alla trama avvincente e alle scenografie futuristiche che trasportano lo spettatore in un sogno dal quale è difficile svegliarsi. I comportamenti dei pompieri sono palesemente ispirati alla dittatura nazifascista, per questo Fahrenheit 451 è un lavoro coraggioso, all’epoca suscitò scalpore, oggi è ancora molto attuale. In una società dove l’apparire conta più dell’essere, dove si fa fatica a distinguere le emozioni reali da quelle fittizie, dove non siamo più delle persone ma dei numeri, dove sotto gli occhi di tutti stanno manipolando le nuove generazioni di perfetti imbecilli, questa storia può farci rendere conto di dove si rischia di andare a finire...buona visione!

maggio 08, 2011

Profound Lore Records



La Profound Lore Records è un'etichetta indipendente canadese che negli ultimi anni sta sfornando album di elevata qualità artistica.
Nasce nel 2004 come passatempo, oggi è una delle etichette di maggior rilievo nel panorama musicale mondiale ed extraterrestre.
In quest'articolo vi presenterò solo alcune delle svariate band prodotte dalla Profound Lore.
I generi musicali trattati da quest'etichetta sono diversi, si viaggia dal brutal/death metal all'ambient/drone, dal black metal al prog. Cocktails mostruosi e letali.
La Profound Lore volge lo sguardo verso il futuro, contemplando la lenta evoluzione della musica estrema.
In quest'articolo vi presento gli album che sto ascoltando maggiormente negli ultimi tempi.


Krallice - Dimensional Bleedthrough (2009)


Album costituito da sette tracce molto dilatate, ricchissime di ornamentazioni e cambi ti tempo e di atmosfere. Band tecnica e visionaria.
Artwork fantastico, solo le loro copertine ti costringono a comprare l'album senza pensarci due volte.
Gli incastri armonici delle chitarre sono ammirevoli, chitarre suonate da due musicisti di spessore: Mick Barr il 'minimalista' e Colin Marston il 'tecnico'. Il tutto è sorretto da una sezione ritmica serrata e spietata condotta da un batterista dal tocco morbido e veloce. Il basso accompagna armonicamente le chitarre e mai schiacciato da queste. Ascoltare per credere.
'Dimensional Bleedthrough' è il loro secondo album, preceduto dall'omonimo del 2008 e succeduto dal recentissimo 'Diotima' (è in circolazione da un paio di settimane). Lo stile e gli schemi compositivi sono gli stessi nei tre album. Il loro sound è definitivo. Segno indelebile nella storia della musica contemporanea.

Altar of Plagues - White Tomb (2009)


Il 2009 è stato un anno florido per la Profound Lore. Questo è un album ambient/black metal notevole. Distorsioni cupe e calde ti trascinano in una dolce dimensione apocalittica. Ritmi cadenzati e lenti si alternano a sfuriate di blastbeat. Sonorità oniriche create dalle chitarre. La chitarra è uno strumento musicale che ancora oggi ha molto da comunicare.
Le tracce di quest'album sono tre, anche queste parecchio dilatate nel tempo.
Buona immersione.

Stargazer - A Great Work Of Ages (2010)


Death/trash metal in salsa prog che ricorda tantissimo le prodezze di band come gli Atheist. Da bassista ascolto quest'album con grande ammirazione. Adoro il timbro e la qualità tecnica del bassista degli Stargazer, ascolto quest'album come se ascoltassi una serie di lezioni di basso elettrico. Album quasi del tutto strumentale e carico di energia. Capolavoro nel panorama metal australiano.

Agalloch - Marrow of the Spirit (2010)


Ultimo lavoro degli Agalloch. Fedeli al black metal melodico vecchio stile più vicino agli Ulver e In the Woods..., ma con una personalissima vena psichedelica e romantica. Inserti acustici, frammenti di minimalismo chitarristico, atmosfere eteree, raggi di sole tra foglie inumidite, raffiche di blastbeat, urla liberatrici, suoni della natura...insomma emozioni. Ennesimo capolavoro prodotto dalla Profound Lore.

Mi fermo qui per adesso. Sul blog Mr. Carcassa ci ha informato sull'esistenza dei Portal, altra validissima e esoterica band prodotta da questa etichetta. Le bands e gli ascolti sono tutti meritevoli e vi consiglio di girovagare per il sito ufficiale della Profound Lore dove potrete fare anche degli ottimi acquisti!


Chiudo con un altro album/capolavoro prodotto dalla PL: http://www.youtube.com/watch?v=LNu9JuURXL8

maggio 02, 2011

Meteore: un treno scarlatto nella grigia Scozia



Band: This scarlet train

Disco: Fimbria

Etichetta: Nightshift Records

Anno: 1987







La Scozia nella prima metà degli anni 80 è una fucina di band interessanti, ma citerò solo quelle che hanno giocato un ruolo primario influenzando la piccola meteora dall’affascinante nome di This Scarlet Train. A Glasgow nell’85 infervorano le chitarre dei Jesus And Mary Chain che con il folgorante debutto lungo di Psychocandy raggiungono un successo gigantesco in tutta la Gran Bretagna; i fratelli Reid, spocchiosi ragazzi dal volto glabro e chioma spettinata, sostengono un po’ pretenziosi di aver prodotto il miglior disco degli ultimi vent’anni. I The Wake con alla tastiera l’onnipresente Gillespie propongono ad inizio carriera un crepuscolare post-punk contaminato dai primi vagiti della new wave con l’eppì Harmony; successivamente la band virerà verso un synth pop melodico, tra Pet Shop Boys e New Order, con il disco Here Comes Everybody prima di sbarcare alla corte della Sarah Records con il singolo Crush the flowers e la splendida B-side Carbrain . Ad Edimburgo Paul Haig dei Josef K, scimmiottando Ian Curtis in It’s Kinda Funny, raggiunge la dodicesima posizione nelle chart britanniche scuotendo il dominio delle band inglesi; è il primo passo importante per la label indipendente Postcard Records che promuove il rivoluzionario “suono della giovane Scozia”. Nella piccola regione del Falkirk, teatro di scontro per l’indipendenza scozzese dagli inglesi nel lontano 1298, s’impone il supergruppo This Mortal Coil di sir. Ivo-Watts Russel, fondatore della storica 4AD, con fosche ed eteree partiture dark e i Cocteau Twins che con Treasure concepiscono il manifesto del loro epico dream-pop. Proprio in questa terra di mezzo tra i grandi centri di Glasgow ed Edimburgo, nel 1986 nascono i This Scarlet Train, ex membri degli Shadowplay (misconosciuta band post-punk), che nell’autunno dell’87 rilasciano Fimbria per la Nightshift Records di Brian Guthrie (fratello di Robin dei Cocteau Twins). L’eppì si compone di sei tracce che si muovono tra atmosfere dark rimpolpate dal basso funereo e atmosfere incantevoli impreziosite dalla voce di Stuart Nelson e tornite dalla chitarra jangle di Robert Polson.

L’arpeggio ricamato con estrema grazia nell’iniziale Picture Frame è un deliquio nostalgico dove il tempo, incolpevole - time, time, time is not to blame - ha sbiadito vecchie immagini scalfite nella memoria - I’ve got my picture frame. Un basso cupo memore dei primi Dead Can Dance e una batteria avvolta in un oscuro alone di eco (ricorda quella di Decades dei Joy Division) scandiscono la triste litania di Autumnhood, il brano più dark del disco. A metà eppì, tra tinte fosche e repentini bagliori, si staglia l’ottovolante Candice, mentre in Kistvaen una chitarra vaporosa e un basso cavernoso ci trascinano in una vortice asfissiante, una vertiginosa discesa negli inferi, le infime strade scozzesi bagnate di sangue ed eroina. Ci si risveglia sudati dall’incubo con Still Rain, una toccante ballata che strizza l’occhio ai Cocteau Twins e su cui Bobby Wratten ha fondato la sua lunga carriera dai The field mice ai Trembling Blue Stars. Nel finale si erge la danzereccia Lilyhaze in cui Nelson sembra essere posseduto da una malcelata inquietudine: la voce si libera da un peso opprimente sdoppiandosi e involandosi in un feroce finale cantato a squarciagola. E’ il commiato.

Fimbria è l’unico lavoro dei This Scarlet Train: Docherty, il batterista, nel gennaio dell’88 abbandona la band e successivamente Nelson fonda i Captain Trips mentre Polson appare nei Water Magnesium. Il misterioso percorso del treno scarlatto giunge al capolinea prima del previsto, in un inaspettato anticipo donandoci un indiscutibile capolavoro.

Ascolta il disco:

1. picture frame

2. autumnhood

3. candice

4. kistvaen

5. still rain

5. lilyhaze

scarica il disco