agosto 21, 2011

Notes From Switzerland Underground



La scena rock svizzera degli anni Settanta non fu per nulla ricca di sfumature e innovativa come quella delle confinanti Francia, Germania o Italia, e per transività , non ebbe neppure il fervore del contesto svedese e inglese. Probabilmente anche la scena rock della penisola balcanica, nonostante il perdurare del regime sovietico, ebbe un maggior ventaglio di proposte musicali, per quanto non sempre di elevata qualità e comunque non di raro strettamente dipendenti dai modelli anglo-sassoni, nonché bloccate nell’esigenza primaria di esprimere in maniera più diretta ed efficace la necessità di una riforma sociale sempre più invocata dalle masse popolari. La sua posizione geografica poneva però la Svizzera facilmente vicina all’orbita teutonica del novello krautrock e della Kosmische Musik dove Amon Duul II, Popol Vuh, Tangerine Dream, Faust, Can,Ash Ra Tempel, Klaus Schulze, Kluster e Kraftwerk ne avrebbero concepito i momenti più emozionanti ed esplorativi, lontani miglia da qualsiasi referente col reale concreto e palpabile, delegando esclusivamente alla mente il potere di sondare nuovi mondi invisibili dove poter colonizzare lo spazio di un necessario ed infinito percorso di redenzione spirituale. L’immaginario musicale dei Brainticket, formazione svizzera, ma guidata dal belga Joel Vandroogenbroeck, rispondeva efficacemente a questa priorità esistenziale d’anelito verso un nuovo cosmo psicologico… già manifestatasi nel primo album Cottonwood Hill del 1971. Qui il flauto orientalizzante di Vandroogenbroeck scandisce i tempi e dialoga magicamente con la spasmodica e riverberata voce femminile nel brano Places Of Light… Ma l’apoteosi assoluta è già raggiunta nella suite Brainticket suddivisa in tre sezioni…Lo schema ricalca lo stesso motivo d’organo e di percussioni per 26 minuti, sul quale vengono ricamamati come in una minuziosa tela di Penelope una miriade di suoni naturali e artificiali…un concerto di musica concreta di rara inventiva…mentre la performance vocale di Dawn Muir è agghiacciante…urla…gemita…gode…il suo respiro è affannoso…è semplicemente la preda di un orgasmo totale…nel rituale indigeno di una oscura psichedelia erotica. L’idea di base dei Brainticket è quella di fondere i suoni elettronici con le variegate sonorità esotiche, come si evince più esplicitamente nel secondo Psychonaut del 1972, dove il flauto fa sempre da padrone e Ragaduca e Coc’O Mary sono due esempi altissimi della padronanza stilistica dei Brainticket che suggellano poi il loro testamento artistico nel concept mitologico egiziano di Celestial Ocean del 1974, con una musica ancora più flussuosa, con magici inserti di percussività elettronica tribale dispersi in vortici cristallini di cori dalla provienenza sconosciuta. Con Celestial Ocean il viaggio nell’Io più profondo raggiunge un punto di non ritorno…la terra è ormai lontana e il rito iniziatico ispirato al libro egiziano dei morti ha prodotto il suo indelebile e teraupetico effetto. I successivi Adventure del 1980 e Voyage del 1982 proseguono del resto sugli stessi sentieri galattici, immortalando il sound lisergico ed allucinogeno dei Brainticket nell’empireo supremo della Kosmische Musik europea. Anche i dischi solisti di Vandroogenbroeck sono di tutto rispetto, soprattutto il panteistico Images Of Flute In Nature dove approfondisce le sperimentazioni precedenti ma con pulsazioni meditative più distese e pacate. Un'altra costola dei Brainticket è poi rappresentata dal progetto Drum Circus, dove accanto al solito Vandroogenbroeck c’è anche il batterista Peter Giger dei Dyzan, altra formazione tedesca di notevole suggestione, pionera insieme agli Embryo del più originale jazz-rock-etnico degli anni Settanta. Magic Theatre, l'unico album pubblicato nel 1971, è un ennesima perla di una medesima poetica a cavallo tra occidente ed oriente, elettronico ed acustico, folk e jazz. L’unica altra band svizzera di quell’epoca degna di nota sono i Krokodil, dediti ad un robusto rock-blues psichedelico supportato anche dall’utilizzo del sitar, formula che raggiunge il vertice espressivo nei 15 minuti di Oddyssey In Om, contenuto nel loro capolavoro An Invisible World Revealed del 1971. L’influenza della musica indiana è del resto sempre presente nei loro dischi grazie anche alla presenza delle tablas e del flauto…che disegnano momenti d’intenso edonismo che si alternano a momenti più aggressivi dove le parti chitarristiche possono essere memori del sound West Coast di Grateful Dead o Country Joe & The Fish e si omegenizzano perfettamente con un’onnipresente armonica sempre in grande spolvero.


DISCOGRAFIA


Brainticket


Cottonwood Hill 1971

Psychonaut 1972

Celestial Ocean 1974

Voyage 1980

Adventure 1982



Drum Circus


Magic Theatre 1971



Krokodil


Krokodil 1969

Swamp 1970

An Invisible World Revealed 1971

Getting Up For The Morning 1972

Sweat And Swim 1973







agosto 03, 2011

La triste strega è tornata.





" Questa sorta di partitura musicale tra corpi / fiumi emersi sotto il peso incontrollabile del quotidiano mentre una passione snocciola la sua bellezza nei ricami del cielo "

Vanna Carlucci, poeta.



Grouper è un pesce: solitario, territoriale e piuttosto schivo. Caratteristiche comportamentali che probabilmente hanno spinto la silfide Liz Harris nella scelta del nome di questa sibillina specie marina come moniker. La sua musica è un crepuscolare dream-pop cesellato da una chitarra vaporosa e riverberi di Wurlitzer miscelati in un atmosfera mitopoietica.

L’avventura della ragazza di Portland comincia nel duemilacinque con ben due album nel giro di un anno: il primo omonimo (quasi irreperibile) e il secondo Way their crept - ode ai Throbbing gristle scritta da Arvo part, sentenziò Liz - coacervo di voci e strati di droni che esplode sui titoli di coda: Where it goes, colonna sonora di Dirty ones, mistico cortometraggio che vede la produzione di Harmony Korine e la presenza sulla scena della giovane sorella Rachel. Una vera chicca.

Il terzo lavoro è Wide: pennellate di voce spettrale, afflato impalpabile lontano da una mera forma canzone. Tormenti di un fantasma.

Nel successivo In Cover the windows and walls la chitarra s’inspessisce creando strati poderosi nel dittico finale You never came e Follow in our dreams: tra crepitii di un vecchio grammofono risuonano partiture eteree.

Il duemilaotto è l’anno della svolta, è il tempo della consacrazione: Dragging a dead deer up a hill, il suo secondo disco per la Type records. Lungo la scia dell’oscuro dream pop degli inizi appare un’anima cantautoriale con chitarra acustica e voce che cedono alla forza di gravità: heavy water/ I’d ratherin be sleeping. Grouper solca il pianeta Terra.

Un anno più tardi il prezioso miracolo

contenuto nell’ep Vessel, Hold the way.

Il suo vertice artistico.

Lo scorso aprile, dopo un paio d’anni di silenzio, viene rilasciato per la Yellow Electric il nuovo doppio album A | A: alien observer and dream loss, come al solito sold out prima delle stampe. Alien observer è anche il titolo del primo singolo: tre minuti di grazia impreziositi da un video lesbomacabro. Ma il capolavoro dell’opera è Vapour trails: nove minuti scortati da grappoli di piano e riverberi di chitarra che ci proiettano in un viaggio interstellare; lentamente il piano si defila per far spazio alla voce dimessa e fioca di Liz che nel finale viene nuovamente sommersa. In chiusura torreggia Come softly: toccante sinestesia tra voce eterea e piano magico, fosca confessione venuta dal vento.

Vento alieno in cui vengono dissolte le tracce del secondo disco, Dream loss. Sette brani opachi, atoni, con chitarra roboante (I saw a ray), voce disperata (Soul eraser) e abbacinante su un tappeto di schitarrate dark (A lie). Il nastro si riavvolge, è il ritorno alla primitiva disillusione, alla perdita del sogno. Tra ombra e luce.

La triste strega è tornata. Ed è la sua ennesima ottima prova, oramai un culto nell’underground musicale americano - tra i suoi fan gli Animal Collective: un tour nel duemilanove e la partecipazione all’ultima edizione del Coachella - e influenza imprescindibile per l’anima tetra di Chelsea wolfe, l’angelica newyorkese Julianna Barwick, la poetessa neozelandese Alicia Merz (Birds of passage) e per tutto il filone chill-wave e ipnagogico che infesta il Nord America.


ascolta:

Follow in our dreams http://www.youtube.com/watch?v=BeHks76-eqI

Hold the way http://www.youtube.com/watch?v=yhiKqkmkvO4

Vapour trails http://www.youtube.com/watch?v=vUPTCDvpdE4

vedi:

Dirty ones, cortometraggio di Brent Stewart, prodotto da Harmoy Korine, colonna sonora di Grouper ( where it goes ) http://www.youtube.com/watch?v=_fi6WWdiTtk


P.S. vi consiglio vivamente il breve scritto sul nuovo disco di Grouper di Filippo Righetto su: http://www.monthlymusic.it/BeTa/2011/04/15/grouper-a-i-a/