marzo 28, 2011

Classica Orchestra Afrobeat : nuovi orizzonti di un "ritmo cosmico" africano



Nel corso della loro storia, le disparate esperienze della “world music”, hanno visto nascere ricerche sempre più innovative, commistioni stilistiche e disponibilità verso sintesi sempre diverse che hanno come possibile corollario la realizzazione di prodotti ibridi e apparentemente disorganici…
ma portatori di un loro fascino tutto segreto.
Il problema magari potrebbe sorgere in tanta “world music” retorica e di facile consumo… quasi che la musica si riducesse ad un puro “collage” di pedissequi elementi “etnici”, senza una ideale fusione o autenticità, assistendo piuttosto, in una società mondiale sempre più globalizzata, all’esigenza primaria di esprimere le singole radici della propria terra d’origine.
“Interpretare” nella musica dovrebbe significare semplicemente “conoscenza”, capacità di penetrare nelle sue più celate strutture ritmiche, armoniche e melodiche…ma capacità anche di accedere alle sue fondamenta extra-sonore...
Percorso raggiungibile solo attraverso vivendola intensamente nei tempi anche morti del quotidiano…con impegno…empatia…e passione.
Solo così, rileggendo in questo modo determinati repertori (vocali o scritti), potremmo sottrarli all’oscura via dell’oblio, tenerli in vita assicurando loro una continua "rinascenza", aprirli ad inesplorati “nuovi orizzonti”.
Tra la fine degli anni’60 e ’70 (e fino alla sua morte) Fela “Anikulapo” Kuti incarnò forse nella maniera più radicale quel “rifiuto”, quella “nuova sensibilità” che, argomentando Marcuse, era "divenuta una forza politica, una praxis che emerge dalla lotta contro la violenza e lo sfruttamento dove questa lotta sia condotta per ottenere modi e forme di vita essenzialmente nuo
vi: la negazione dell’intero establishment, della sua morale e della sua cultura; l’affermazione del diritto di edificare una società in cui l’abolizione della povertà e della fatica si concluda in un universo dove il sensuale, il giocoso, il calmo, il bello diventano forme di esistenza, e pertanto la forma stessa della società”.
Certo, la “controcultura” di Fela fu strettamente legata al suo paese d'origine, la Nigeria, ancorata ai vari problemi coloniali, sociali e religiosi, ma il suo sentito “pan-africanismo”
trascendeva i confini dell’Africa per diffondere il suo messaggio a tutto il pianeta…
Con la sua musica, oppose a quel “establshment” un “ritmo cosmico” terapeutico, che derivato da una personale miscela di highlife, jazz, funk, calypso, canti e percussioni Yoruba…definiva come la “moderna musica classica africana”…ovvero l’afrobeat.
Quel “groove” ipnotico, ossessivo e mantrico, che era nella sue composizioni rappresentava la cellula madre di ogni cosa…il vero significato di tutto…un nucleo fatale d’energia sul quale si innestavano la corposità dei fiati e l’invocazione ritualistica di cori femminili…nonché i voli lunatici di "tastierine" psichedeliche..
Non stupisce che, se il suo “modello” fu il tentativo più efficace di colmare la divisione tra mente e corpo, unificare il potere della parola con il potere del ritmo, usare il potere metamorfico della musica per elevare gli spiriti o guarire dalla sofferenza, ha avuto e ha ancora oggi fedeli imitatori (si pensi a gruppi come Antibalas e Daktaris).
Ma quando ascoltiamo per la prima volta la Classica Orchestra Afrobeat ci accorgiamo subito di essere di fronte a qualcosa di veramente nuovo e sorprendentemente originale…
Forse nel rock-progressive degli anni ’70, quando si attingeva a piene mani dai repertori barocchi, qualcuno avrà pur utilizzato l’elegante clavicembalo…ma in quel caso sarebbe stato come se, nel medesimo quadro di musiche d’origine europea, un figlio ereditasse qualcosa da un antico
padre…anzi da qualche più lontano antenato.
Altra cosa è prendere un clavicembalo, o un violino, o addirittura una quasi desueta viola da gamba…e farli dialogare con le poliritmie africane, osando un incontro di culture difficile da immaginare.
La formula magica trovata dalla Classica Orchestra Afrobeat, d’interpretare alcuni tra i brani più coinvolgenti di Fela Kuti alla luce di un ensemble che si rifà alla musica classica e barocca colta, appare invece come un’intuizione fulminea nel pieno della sua freschezza…
Dopo alcune uscite live di rodaggio nel corso dell’estate 2010, i mirabili arrangiamenti (quasi interamente strumentali dal vivo) trovarono un loro equilibrio ideale in occasione del concerto tenutosi a Russi nella sera del lunedì 20 Dicembre. Quel giorno nel soffuso ambiente del Teatro Comunale della piccola cittadina in provincia di Ravenna, l’Orchestra raccolse a ritmi sincopati e a colpi di pennello…l’infuso rassicurante dei suoi meritati frutti…
Dopo aver rotto il ghiaccio con le bellissime versioni di No Agreement e Mr.Follow Follow, anche in Shenshema si percepiva una piena sinergica e fantasiosa simbiosi tra gli archi, i fiati e la base ritmica, tanto nelle parti soliste e più improvvisative (gli assoli di clarinetto in primis), che nei momenti corali. Poi un primo sussulto di stupore nell’introduzione di Go Slow del clavicembalo (laddove nell’originale è con un ruvido rhodes)… e medesime sensazioni positive nella trainante Observation Is No Crime…per arrivare al gran finale con Water No Get Enemy e naturalmente la mitica Zombie.
Forse però l’emozione più grande di quella serata fu ascoltare quel “Ra-Ra-Ra-Ra Ra-Ra-Ra-Ra” nell’avvolgente pathos della pseudo-ballata Trouble Sleep Yanga Wake Am…uno dei temi più belli in assoluto di Fela, dove fece la sua comparsa inattesa una timida ma divertita ocarina.
E così i presenti…o almeno quelli più sensibili, potettero essere trasportati altrove…in una radura di vibrante felicità con nessun suono…solo immagini per l’orecchio…nessun colore…solo melodie per l’occhio…nessun contatto…solo odori per le mani.
Apparve chiaro che il dialogo con il referente originale era sottile ed evocativo, nonché evanescente nella sua ambiguità…
La rivisitazione e la visione dell’afrobeat dell’Orchestra profumava di una classicità arrugginita, come quando l’antica patina di un quadro nasconde all’osservatore le ultime velature del pittore, poiché rimaneva comunque viva la memoria di certi grooves velenosi e primitivi…
Tutto era trasposto da un istinto “nero” sanguigno e calato in un “bianco” dolce tepore…ma in realtà il processo e il movimento emotivo restava sempre oscillante…si rimaneva "selvaggi" con percussioni di sapore ancora esotico ma non pred
ominanti…si diveniva "uomini" con gli accordi della viola e del violino e con il suono raffinato del clavicembalo (che subentrava a un più acido organo elettrico)…ci si elevava al cielo con la "divinità" del flauto, dell’oboe o del fagotto che sostituivano la maggiore incisività dei sax e della tromba.
Come prevedibile per la coerenza di una normale orchestra da camera, la diversità apparve lampante anche nella dimensione scenica…
L’orgiastica figura del Fela performer-danzatore in visibilio…cedeva il posto alla tranquillità“zen” del batterista-direttore che con pochi sguardi muoveva e dirigeva tutto…
Intorno a lui si racchiudevano i restanti compagni …
Era un quasi semicerchio…un “abbraccio doppio” piuttosto…rivolto e indirizzato al pubblico…ma anche auto-riflessivo e dimostrativo di una pacata e controllatissima attenzione nell’esecuzione.
La grandezza della Classica Orchestra Afrobeat stava anche nella volontà di comunicare soprattutto la profondità dell’impegno profuso nella ricerca musicale, e questo anche attraverso un coordinato impatto visivo (intimamente legato alla dinamica sonora), dove l’esibizione si poneva nei termini di una prioritaria offerta musicale…e di certo quell’"abbraccio" non era fine a se stesso, ma funzionale alla migliore e perfetta riuscita della performance, la cui spettacolarizzazione poteva dipendere al massimo dalla variopinta esibizione del gran numero di strumenti.
Dunque, quel “ritmo cosmico” raggiungeva nuovi orizzonti, con una formula equilibrata, che rispecchiava il fascino di entrambe le tradizioni, quella africana e quella europea, con un osmosi che dimostrava una piena assimilazione e comprensione della musica di Fela Kuti.
Certo, trasportare un’idea da un contesto a un altro è spesso sufficiente ad alterare il senso e l’importanza o a restituirci il suo valore trasgressivo…e comunque il semplice atto di appropriazione e trasposizione determina un cambiamento nell’originale.
Ma la Classica Orchestra Afrobeat rende semplicemente omaggio al genio Fela Kuti…e lo fa alla sua maniera, non toglie né aggiunge nulla alla sua visione musicale, ne accresce solo la spiritualità…la valorizza…ne amplia i colori e la possibile infinita timbricità…conserva e amplifica il tentativo di esprimere una "sensazione di pace" per la costruzione di una grande coscienza, prima collettiva e poi individuale.
L’allegria e il pathos che trapelavano dalle composizioni di quel "guru yoruba" si fossilizzano in un nuovo sguardo “pioneristico”…che con gioia sarebbe stato accolto nei confini della "repubblica di Kalakuta".
Per di più attraverso un ensemble di sola strumentazione acustica (se si eccettua la presenza di un basso elettrico fondamentale per il groove) che suggerisce anche un approccio e rimando maggiore alla natura…ai suoni della terra…prendendo distacco da una industrializzazione sempre più imperante…che il Fela politico tanto avversava.
Forse non è un caso che la mirabile idea di questo progetto sia nata nella silenziosa campagna romagnola, dove un nutrito gruppo di musicisti provenienti dalle più disperate esperienze e formazioni musicali (classica, jazz, latino-americana, libera improvvisazione, popolare, contemporanea etc.) si sono riuniti sotto la guida del batterista e percussionista Marco Zanotti, vacillanti nell’amore di quelle zone agricole e pastorali, condividendo la medesima passione per la musica secondo un’indole votata alla spontaneità e a piccoli sprazzi di lucida ed estemporanea semplicità.
E dopo quella rivelazione invernale aspettiamo con ansia l’arrivo del fiore maturo nella tarda primavera…
L’uscita dell’album “Shrine On You(Fela Kuti Goes Classical) registrato dal vivo nel medesimo teatro di Russi (allestito per l’occasione come uno studio di registrazione) nei giorni precedenti al concerto, e contenente tra l’altro un breve dvd documentario sul progetto, è prevista per Giugno…Aspettiamo solo di poter comodamente godere delle intense e rare atmosfere della Classica Orchestra Afrobeat, seduti sul divano di casa…magari alle luci meditative di un’incantevole “madrugada”.



L’Orchestra

Alessandro Bonetti / violino, mandolino
Anna Palumbo / percussioni
Cristiano Buffolino / percussioni
Cristina Adamo / flauto
Elide Melchioni / fagotto, ocarina
Francesco Giampaoli / basso, contrabbasso
Marco Zanotti / batteria e direzione
Rosita Ippolito / viola da gamba
Silvia Turtura / oboe, corno inglese
Tim Trevor-Briscoe / clarinetto
Valeria Montanari / clavicembalo


Musiche di Fela Anikulapo Kuti
Arrangiamenti di Marco Zanotti & Classica Orchestra Afrobeat

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