Lunedì scorso la Hyperdub ha rilasciato, a sorpresa, un’altra perla firmata Burial. La celebre etichetta inglese negli ultimi sei anni si è resa protagonista, attraversando quell’ondata post UK garage di inizio millennio, sfornando ellepì di grande impatto, sempre in anticipo, sempre un passo oltre alla scena musicale d’Albione e non solo. Era il 2004 quando il producer/fondatore della label Steve Goodman (Kode9) presentava l’ambizioso progetto : “ Hyperdub è la mutazione culturale che emerge dove entrano in collisione gli oceani di suono analogico e digitale. Il futurismo ritmico black atlantico è la più prolungata e rigorosa esplorazione di queste mutazioni cyborg “. Goodman ha individuato nel concetto di Black Atlantic, elaborato dallo studioso inglese Paul Gilroy, la teoria per narrare e studiare la diffusione del suono. Questa elaborazione teorica vede la diaspora africana come elemento di influenza sulla cultura musicale del XX secolo; Nord e Sud America, Africa ed Europa occidentale sono viste come un grande network sonoro. Se prendiamo questa riflessione e la inseriamo nel contesto urban/dance, sostiene Luca Galli della rivista Blow Up, vediamo come quest’ultimo sia divenuto sempre più complesso e addirittura insidioso. Tra i Groove Chronicles (seconda metà anni novanta) e i Kryptic minds (2009), i confini temporali, la variazione del contesto è stata rapida e furibonda: innovazioni nella comunicazione e trasmissione delle informazioni, accessibilità ai mezzi di produzione e riproduzione musicale e alla stessa fruizione della musica (mp3). Il tratto caratteristico degli ultimi quindici anni di suoni urban/dance è stato il precoce esaurimento, l’aridità creativa, l’appiattimento sonoro per sovraccarico e abbondanza: drum’n’bass prima, minimal poi e il dubstep ora sono entrati in collisione con la produzione industriale, melliflue operazioni di marketing che hanno trascinato il sistema musica verso il proprio declino. La Hyperdub, invece, si è sempre distinta dalle altre etichette analizzando il suono, vivendolo completamente, tralasciando trend e moda del momento. Per questi anni il cuore della label ha continuato a pulsare come agli albori: basso, remixologia e ritmi accelerati.
Il ragazzo di Londra, William Bevan a.k.a. Burial, dopo la recentissima collaborazione con Four tet (nuovamente, dopo quella del 2009: Moth/Wolf Club) e sir Thom Yorke (tra i primi fan del pupillo di casa Hyperdub), torna alla ribalta con un eppì, Street Halo: tre tracce, circa venti minuti. L’enigmatico ragazzo che era riuscito ad eclissare il manifesto della label, Memories of the future di Kode9, con il suo debutto omonimo nel 2006 e il formidabile sèguito Untrue (2007) , tra i migliori album del decennio scorso, è ricomparso dopo quattro lunghi anni con un piccolo disco tutto suo. Ogni produzione a nome Burial fa tremare il mondo musicale, la rete e i fan avvezzi alla sua distinta e raffinata classe; il silenzioso eremita, chiuso nella sua torre d’avorio a smanettare synth e drum machine, quando decide di rilasciare le sue gemme fa rumore, e ne fa tanto. La title-track, Street Halo, riprende l’epilogo di Untrue, Raver con l’incedere laconico e caustico riesumando l’anima dancehall di Moth, tra le vette della sua produzione. NYC è un vagabondare senza meta: soul impalpabile, sussurrato, una confessione svogliata, labile ma preziosa che ci conduce al culmine del prodigioso disco. Stolen Dog, un beat soffiato dalle cuspide e gelide montagne di Kid A che precipita nelle fumose strade di Londra; le voci di stampo UK garage vengono distorte in un riverbero intriso di malinconia, la malinconia di un ragazzo cresciuto all’ombra del brumoso e profondo basso di Stone Cold dei Groove Chronicles – It’s dark. That tune’s never left my head. That tune is still going around my head from the first time I heard it. And the thing about those drums: they’re still the future - ha affermato Bevan in una delle sue rare interviste. E’ il solito Burial, in stato di grazia, con la sua folgorante emotività ovattata, endorfina, la profonda sensazione di smarrimento, acquiescenza, eiaculazione e languore: la celata nostalgia per qualcosa di mai vissuto. Burial è dentro la cerchia dubstep, ma anche fuori al contempo: si può parlare di Burialismo, un culto che trascende il suono - atmosfera rarefatta poltiglia cinerina, l’auto che passa con l’autoradio al massimo e i finestrini serrati, appannati, bagnati dalla pioggia, fogli di giornali spinti da gelidi refoli per vicoli bui e dimenticati della città, la fine di una festa e una torma di corpi sudati, narcotizzati, immacolati che vagano verso casa.
Il genio è tornato !
Un ringraziamento speciale a Luca Galli per il suo esauriente e prezioso articolo sui cinque anni della Hyperdub scritto sulla rivista Blow up (mensile 138, novembre 2009)
ascolta i brani:
NYC
stolen dog