giugno 17, 2011

Sans toit ni loi, un film di Agnes Varda



Alla voce Agnes Varda potrebbero seguire le seguenti definizioni: regista belga, regista minore formatasi all’ombra della nuova onda francese, regista sottovalutata. Il suo film più noto è il quinto lungometraggio, Sans toit ni loi (senza tetto né legge), che racconta la storia di Mona Bergeron, ragazza emarginata che rifiuta la società con tutte le sue convenzioni preferendo una vita amorale, una vita on the road.

Una ragazza vagabonda muore di freddo: è un fatto da inverno. È stata una morte naturale? È una domanda da gendarmi. Cosa si poteva afferrare di lei e come hanno reagito quelli che hanno incrociato il suo cammino? È il soggetto del mio film.
Avventure e solitudine di una giovane vagabonda (né freddolosa, né loquace) raccontate da chi ha incrociato la sua strada, quell’inverno, nel Meridione. Ma è possibile raccontare il silenzio o afferrare la libertà? -–
sostiene Varda.

Una carrellata di personaggi ordinari e strambi ricostruiscono le ultime settimane di vita della girovaga: il rozzo e invertito meccanico “sporco nella testa”, la badante desiderosa d’affetto da parte del suo ragazzotto ladruncolo, l’amante squinternato rockettaro, l’avido nipote della ricca e pignola vecchia, il pastore filosofo e profeta, la disponibile e materna docente di agraria, il contadino tunisino generoso e la banda di drogati vagabondi della stazione. Tra indifferenza, paura, ma anche simpatia, compassione e amore - memorabile l’inquadratura del contadino tunisino che annusa la sciarpa indossata da Mona inspirando un effluvio di passione - la scapestrata ragazza, stremata, inciamperà in un fossato e incontrerà la sua spregevole fine in una gelida notte invernale.

Varda ci invita, senza patetismi e con distacco, alla riflessione: riflettere sulla società chiusa sotto un tetto, convenzionale, borghese, perbenista, razzista che non accetta gli emarginati e si costituisce escludendoli; ma d’altro canto vi è una dura riflessione che si protrae anche sulla disperata ricerca di libertà che può rivelarsi rischiosa e illusoria, condannando alla solitudine, alla perdizione e anche alla morte.

Film crudo, dallo stile minimale e asciutto che ricorda il debutto del giovane turco François Truffaut - non vi è solo un filo puramente cinefilo che lega la regista alla nouvelle vague, ma c’è anche un fil sentimental con il regista francese Jacuqes Demy, compagno di vita a cui dedicherà anche un film (Garage Demy); vi è un forte legame viscerale al quale non può sottrarsi. Mona, interpretata magistralmente da Sandrine Bonnaire (interpretazione che le valse il César per migliore attrice nell’86), sembra essere l’alter ego del piccolo Antoine Doinel. Il volto pallido e sozzo, le lacrime richiamano lo sguardo smarrito e in bianco e nero del ragazzino in fuga dal riformatorio, celebrato con un fermo immagine da antologia del cinema. Se il padre della nouvelle vague non avesse dato seguito a Les quatre cents coups, con la romantica saga Doinel (da Baci rubati a L’amore fugge), Senza tetto né legge avrebbe potuto essere il seguito drammatico per il povero Antoine.

Ma perché ha abbandonato tutto? - Meglio la strada e lo champagne - risponde beffarda Mona alla studiosa di platani, che tanto s’affeziona alla ragazza, in preda al riaffiorare energico di un passato affogato lungo la strada prestabilita della sua vita sterile. Ma il ghigno e l’irriverenza si dissolvono nel disperato pianto e tornano alla mente le sagge parole del pastore filosofo - un conto è errare, un conto è aberrare.

Pellicola sincera a metà strada tra finzione e documentario capace di emozionare platea e giuria al festival di Venezia dell’85, e meritato arrivò il Leone d’oro. Credo che Senza tetto né legge sia un film riuscito. E lo dico senza falsa modestia, perché dopo trent’anni che faccio cinema trovo sia il film in cui è meglio realizzata la mia idea di un cinema di fiction su base documentaria –- sostenne Agnes.

Fiction su base documentaria che sarà la principale influenza per certo cinema futuro, proprio belga, come quello dei fratelli Dardenne (Rosetta, L’enfant, Le silence de Lorna), capaci di farci sussultare con le loro vivide immagini calate nella drammaticità della realtà. Realismo, Varda docet.

1 commento:

  1. sentii parlai di un film simile a Coimbra nel novembre scorso che c'era un festival di cinema francese...lo davano lì ed ero molto attratto dal vederlo...poi però non feci in tempo!
    la tematica è significativa!
    anche l'anno 1985! che mi annulla la possibilità circa il fatto che poté essere proiettato in quella rassegna portoghese...
    dato che non c'erano retrospettive!
    da vedere assolutamente cmq!
    questa Agnes Varda sembra essere un occhio sensibile...tutt'altro che minore!
    ottima recensione per "Doinel"...
    come sempre del resto!

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