maggio 16, 2011

Wildbirds and peacedrums



04-05-2011 Circolo degli artisti, Roma.


“It was a great marriage” aveva esclamato una
donna a Villa Celimontana, a pochi passi dalle Terme di Caracalla, nel pomeriggio caldo pungolato dal venticello del maggio romano. Il grande matrimonio celebrato era quello tra il suo piccolo figlio e la figlioletta di una sua amica che si rotolavano e crogiolavano nell’ammucchiata di foglie secche rastrellate tra gli alberi. Beati fanciulli. Ma in realtà il vero grande matrimonio del mio breve soggiorno nella capitale si è rivelato quello tra Mariam Wallentin e Andreas Werliin conosciutisi nel 2004 all’accademia di arte e musica drammatica di Goteborg, Svezia. Il loro amore si è celebrato a Berlino un anno più tardi. Non è soltanto una meravigliosa storia d’amore la loro, ma è anche una storia di passione ardente per la musica, comunione musicale. Tutto nasce da qui. Lasciata la torre d’avorio dell’accademia i due formano una band, Wildbirds and peacedrums. Lei canta: esile usignolo dalla voce mesmerica e dall’impostazione soul e blues che emerge soprattutto nei primi due ottimi ellepì Heartcore e The Snake; lui picchiatore rovente della batteria e percussioni varie: inesauribile assistente e fedele compagno della moglie - Iniziamo sempre con le parole che scrive Mariam, poi cerchiamo uno o due elementi che stiano bene con queste -–può essere un ritmo o un suono e poi partiamo da lì. Per me è una liberazione scrivere musica in questo modo -–non ho bisogno di coprire molto la voce di Mariam, posso suonare un ritmo semplice e fare affidamento sui silenzi. Manteniamo molto spazio nelle registrazioni e sembra che chi ascolta riesca a riempirlo da sè -– un ascoltatore di musica jazz ci sente fiati e linee di basso mentre un punk ci mette delle chitarre frantumate!
Mariam irrequieta agita le braccia, le mani sprizzano energia disegnando movimenti sinuosi e lenti, una danza sensuale. Concerto sensuale. S’aiuta con delle bacchette, proiezione delle sue mani affusolate, miscelando nel pentolone magico, la steel drum, una salsa dal lieve sapore metallico e orientale che è il leitmotiv del sound dell’ultimo disco In rivers, interamente presentato nella fresca serata del Circolo (non ricordo un Circolo degli artisti così fresco). S’inizia con Bleed like there was no other flood riarrangiata con una tastiera dal sapore retrò rispetto al disco dove fondamentale era l’impronta della Schola Cantorum Reykjavik Chamber Choir, il coro che animava i solchi crepitanti alla ricerca delle atmosfere oniriche di Eyes wide shut. Nel finale del secondo brano, Tiny holes in this world, Mariam si stacca dal microfono e s’avvicina (quasi) in bilico sul proscenio sorretta da un’ avvolgente tastiera post-rock: Dea ci sovrasta e canta con il cuore in mano liberando docili frustate, brividi scorrono lungo i corpi schiavi e sedati dell’esiguo ma caloroso pubblico accorso. Minuti di estasi che valgono il prezzo del biglietto. Segue la desolata Under land and over sea a completare i primi tre brani di In rivers eseguiti in un unico movimento, una suite memorabile. The Lake e The Well rallentano il passo spingendoci in lande pop e lambendo il languido firmamento degli ultimi Beach House. Fight for me incalza irresistibile con Werliin che gioca di classe sul jam block: ritmo latino calato in un’atmosfera oscura e mistica, infestata di fantasmi. La deliziosa ninna nanna The Drop e la commovente ballata The Course surriscaldano il palco per la gemma Peeling off the layers: Mariam sembra sollevarsi da terra e raggiungere le corde vocali della più grande chanteuse degli ultimi vent’anni, Bjork. I due scompaiono dal fumoso palco per riapparire acclamati e rinfrescati e congedarsi con la splendida The Wave: l’onda che cresce e cade.



'Cause just like a wave,
rise
And just like a wave,
fall
It's a never ending movement,no

Like everything is moving.



Tutto si muove come un’onda, un movimento infinito di cui anche noi, ipnotizzati, facciamo parte; un movimento, ahimè, destinato a fermarsi, ma a restare indimenticabile come quello dei bambini innamorati tra le foglie secche di un pomeriggio romano.





Un ringraziamento speciale a Raffaella, Giulia e i suoi amici percussionisti per il sostegno tecnico-morale alla realizzazione di questa recensione.

3 commenti:

  1. uccelli selvatici e batterie della pace,una formula vincente che colpisce soprattutto per la loro semplicità e per l'atmosfera incantevole che sanno creare.Impossibile non innamorarsi di loro( di Mariam soprattutto).

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  2. Non li conosco, ma paiono davvero interessanti. Se capitano da queste parti farò un salto.

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  3. la voce di lei è incantatrice...atmosfere coinvolgenti...very good! lo stile dell'articolo rimane quello...d'autore direi!!!

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