gennaio 23, 2011

Quadrilogia di Duca Lamberti: Scerbanenco ed il Noir italiano


E' sul finire degli anni venti che nella letteratura americana si impone con forza il Noir e l'Hard-Boiled: maestri come Hammett e Chandler (suo il memorabile Philip Marlowe) non si limitano a gettare le basi del genere, ma anche descriverne le vette più alte, creando i modelli ai quali tutti gli scrittori a venire, seppur con qualche piccola variazione personale, si sono ampiamente ispirati.
Ammiccando a questi monumenti, a metà degli anni sessanta Giorgio Scerbanenco, giornalista italiano ma di origini ucraine noto perlopiù per i suoi romanzi rosa e gialli, importa un nuovo colore nella letteratura italiana: il nero. Nasce così la figura di Duca Lamberti, personaggio non poco originale - sia in confronto agli stereotipi di genere, sia se contestualizzato al substrato culturale del Bel Paese di quell'epoca.

"Più ne schiacci e più ce ne sono. E va bene, tenerezza mia, ma forse bisogna schiacciarli lo stesso"
Siamo a Milano: Duca è un medico ed è appena stato dentro tre anni per aver praticato l'eutanasia su di una anziana donna in stato terminale. Mica cazzi, siamo ancora nel '66. Radiato dall'ordine, non può più esercitare la professione: entrano dunque in gioco gli amici di famiglia. Il padre di Duca era uno sbirro e il funzionario di polizia Luigi Carrùa gli offre un lavoro quantomeno atipico: badare ad un alcolizzato, figlio di un industriale, e portarlo alla disintossicazione. Un duplice lavoro, umano e medico.
E' l'inizio di Venere Privata (1966): da semplice tutore, il nostro si ritroverà ad investigare con gli amici poliziotti su una suicida, Alberta Radelli, causa dell'alcolismo del giovane. Che poi tanto suicida non è...
Nella Milano del Boom economico, anche il crimine inizia a farsi organizzato: lo sfruttamento della prostituzione come specchio della società dei consumi. Quanto pesa per le istituzioni la morte di una giovane donna, e quanto per l'animo umano?

"Io Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria"
Da San Francisco a Buccinasco, passando per Piazza Leonardo da Vinci a Milano; dalla seconda guerra mondiale alla contemporaneità, la storia di Traditori di Tutti (1966) viaggia nello spazio e nel tempo.Avvocati e macellai, traffici di armi e droga, annegamenti nel Naviglio, verginità perdute e chirurgicamente riconquistate. Traditori e traditi.
Un capolavoro egregiamente intrecciato (non a caso nel 1968 vince il Grand prix de littérature policière), da divorare dalla prima all'ultima pagina. Duca non è più un investigatore occasionale e abbraccia la carriera di poliziotto a tutti gli effetti; l'umanità con cui scontrarsi però è sempre la stessa: il peggio del peggio.
L'amara ironia dell'abiura galileana che il nostro manda all'Ordine dei Medici per essere riabilitato è forse il momento più lucido di questa discesa disincantata nei più oscuri meandri dell'animo umano.

"A che serve arrestare un mostro? A che serve punirlo? A che serve ucciderlo? A che serve che viva?"
Matilde Crescenzaghi, è una giovane insegnante che è stata seviziata e percossa fino alla morte dalla sua classe di ragazzi difficili: tutti colpevoli, tutti innocenti. Eppure dietro l'omertà degli alunni si intravede un orrore ancora più grande e morboso del delitto stesso. Da dove viene il marcio che ha corrotto I Ragazzi del Massacro (1968)? Duca svolge un il doppio lavoro di sbirro buono e di sbirro cattivo, perchè coi giovani bisogna saperci fare. Scerbanenco si limita a fare il suo, ma dannatamente bene. Fernando Di Leo ne trae una pellicola, ennesima conferma della maturità artistica raggiunta dallo scrittore.

"Un vecchio milanese, lavora sempre, ogni giorno, durante tutta la settimana, anche se corta. Se commette qualche cosa che non va, la commette al sabato"
E infatti, I Milanesi Ammazzano al Sabato (1969). Proteggere le cose fragili a volte non basta: la crudeltà passa sopra tutto e tutti, e dopo resta solo la disperazione. L'ultima avventura di Duca, prima della prematura scomparsa del suo creatore; forse la più sentimentale delle quattro, ma anche la più sofferta. Il giusto epilogo di una saga in quattro tempi.

La scrittura di Scerbanenco è sempre ineccepibile ed efficace: mai particolarmente sanguinolenta, ma sempre dolorosa. Non è un caso se dal 1993 la miglior opera giallistico/noir italiana viene insignita del Premio Scerbanenco (tra i suoi vincitori Pinketts, De Cataldo, Lucarelli). Nelle sue storie nessun ruolo è minore, ed i personaggi, specie quelli femminili, sono tutti splendidi. Livia Ussaro (che diverrà la compagna di Duca) e Lorenza Lamberti (sua sorella, ragazza madre) sono le roccaforti nelle quali l'umanità dell'ex-medico/investigatore si rigenera. Una umanità che è un'arma che non viene mai meno, e che supera sè stessa: non è con le rivoltelle che si combatte contro i mulini a vento, non è sparando che si doma una mala emergente, cinica e violenta, che affonda le radici nei cambiamenti economici e culturali di una nazione, ma resistendo all'orrore che avanza. E dunque in questo che lo stoico Duca Lamberti differisce dallo stereotipo dell'investigatore made in USA: più eroe che anti-eroe (ma mai consolatorio), integerrimo, in buoni rapporti con la polizia, non ostenta atteggiamenti machisti o violenti.
D'altronde, per tutto il marcio, Milano basta e avanza.

Steno Tung

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