Illustrazione di "La Ele" |
aprile 29, 2011
Il corvo, l'origine del mito
aprile 28, 2011
Meteore: il breve respiro di un fissascarpe
Band: Eternal
Disco: Breathe
Etichetta: Sarah Records
Anno: 1990
Solo duemila copie stampate dalla leggendaria Sarah Records nel lontano giugno del 1990 per Breathe, unico singolo degli Eternal. L’etichetta di Bristol debuttava tre anni prima lanciando il singolo Pristine Christine dei The Sea Urchins, e s’inoltrava sino a metà anni novanta portando alla ribalta band storiche, made in UK, del calibro di The Field Mice, Secret Shine e The Wake. Per la band del Berkshire composta da Christian Savill alla voce e chitarra, Stuart Wilkinson al basso, Michael Warner alla batteria vi fu un’unica apparizione dal vivo, condividendo il palco con i nascenti e promettenti Chapterhouse e Slowdive, a suggellare la loro fulminea ma importante esperienza musicale. Il leader Savill, qualche mese più tardi, risponderà alla richiesta di un chitarrista proprio da parte di Neil Halstead e Rachel Goswell, così abbandonerà gli Eternal e la band non avrà seguito. Il risultato di questo gioiellino non si discosta molto dalle atmosfere lente e sognanti della storica band di Reading (Slowdive, naturalmente): tre brani di pregevole fattura tra sussurri dreamy e sprazzi di tenue shoegaze. L’iniziale Sleep è madida di malinconia: semplici accordi di chitarra vengono soffocati dalla voce rantolante e acquiescente, poi la testa cala sul pavimento, il piede preme sulla pedaliera e si viene abbacinati da riverberi Souvlakiani (non a caso il brano sarà riproposto tra i demo e gli outtake del secondo album targato Slowdive). Breathe parte con una chitarra serrata, ma sempre intrisa di languore, che ricorda vagamente Heroes di Bowie, ma qui non ci sono eroi, nemmeno per un giorno, ma solo eterni teenager dai caschetti desolati, volti pallidi, occhi bassi e cuori fragili sotto lo scrosciare di una violenta tempesta, scatenata dalle cinque corde metalliche, foriera di un finale strappalacrime (timidi na-na-na uh-uh-uh sussurrati sul tappeto fragoroso di chitarra). La conclusiva Take me down s’avvolge in un riff oscuro e caliginoso (dei Jesus And Mary Chain pesantemente narcotizzati) e assistiamo impotenti alla smaterializzazione degli strumenti e la voce, sempre più sommessa, confusa, lentamente si dissolve.
2. Breathe
3. Take me down
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aprile 26, 2011
Gato Barbieri 1965/1975 : pan-americanismo latino
Al 1907 risale il celebre dipinto di Henri Rousseau,detto il Doganiere, dal titolo “L’incantatrice di serpenti”…In una foresta fatata il suono di un flauto arcaico è nelle mani di una donna dagli occhi enigmatici che rimane in una soffusa penombra inquietante…i serpenti le vanno incontro come anche l’incredulo fenicottero in basso a sinistra…la minuta e verde vegetazione esotica rappresenta invece la quinta ideale di un atmosfera ammaliatrice dove il protagonista è la luce dorata della luna alta nel cielo…sorta ai primi albori del tramonto. La perfetta traduzione musicale di questa mirabile visione naturale interiore del pittore francese, potrebbe essere il brano Bolivia, che da il titolo all’omonimo album di Gato Barbieri del 1973. Tutta l’essenza dell’anima profonda del musicista argentino sono racchiusi in questi magnifici 7 minuti e 43 secondi circa in cui tutto scorre leggiadro come un fiume, che, trovandoci in ambito latino, potremmo immaginare essere il Rio delle Amazzoni. Il medesimo richiamo alle foreste pluviali dell’America Latina è nell’altra perla del disco Vidala Triste…medesime sensazioni…ma la dolcezza cambia…è ancora più straziante ed evocatrice del quadro sopra descritto. Potremmo semplicemente dire che in questi due brani c’è un "coefficiente di vita" potenzialmente infinito…ma forse qui dovremmo inventare un nuovo vocabolario “ad hoc” per poter descrivere i postumi di una reale esperienza autentica. Prima di Bolivia, il percorso di Leandro “Gato” Barbieri era stato defilato rispetto a un personalissimo pan-americanismo latino… sintesi intima e personalissima dei ritmi e delle sonorità sud-americane, aperte al jazz nelle sue diverse sfumature, tra poli morbidi e free. In quest’ultimo ambito sono da ascrivere le collaborazioni iniziali con il trombettista Don Cherry, Togetherness del 1965 e Symphony for Improvisers del 1966. Lo spirito "terzomondista" di Gato vide poi una tappa fondamentale nel sodalizio con il sudafricano Dollar Brand, con il quale incide Hamba Khale nel 1968. Dello stesso periodo sono due partecipazioni importanti, prima nel colossale Escalator Over The Hill a nome Carla Bley e Paul Haines del 1968, poi l’anno dopo nel manifesto politico-musicale di Charlie Haden. Liberation Music Orchestra…un incontro irrepetibile di musicisti (tra cui ancora Don Cherry, Roswell Rudd, Andrew Cyrill, Michael Mantler, Paul Motian) che prendendo spunto dalle canzoni della guerra civile spagnola scoperte da Haden, dalle sollecitazioni della guerra del Vietnam e dalla recente morte di Ché Guevara, voleva diffondere il proprio messaggio universale per un mondo nuovo di pace e benessere spirituale collettivo. Le performances soliste di sax sono di Gato, drammatiche e struggenti come non mai…in perfetta sintonia coi fiati colorati di Cherry. Dello stesso anno è anche l’ottimo The Third World, che segna la comparsa di fusioni tipiche dello stile maturo dell'argentino.Poco ricordata invece è forse l’apparizione dell’argentino in Appunti di Un Orestiade Africana di Pier Paolo Pasolini del 1970, dove lo troviamo impegnato in una intensa jam spasmodica sul tema della tragedia eschilea declamata da Yvonne Murray e Archie Savage. L’altra collaborazione cinematografica di spessore sarà la colonna sonora di Last Tango In Paris di Bernardo Bertolucci del 1972 mentre a l’anno precedente risale il bellissimo concerto al Montreux Jazz Festival, documentato nel celebre El Pampero. Bolivia dunque, poteva essere l’approdo finale di una panteistica devozione latina…in realtà finisce per essere una semplice porta…poiché il pan-americanismo di Barbieri diventa ancora più sentito ed efficace nella serie dei quattro Chapters tra il 1973 e 1975. “Brasile, Cile, Perù, Argentina, Cuba, Uruguay, Bolivia, Velenzuela, Colombia,Ecuador…para nosotros…para nosotros…para nosotros…claro” , ovvero il cantato insistito in Para Nosotros contenuto in Chapter Two : Hasta Siempre, è il vero inno di speranza per il futuro dell’America Latina. Salse, sonorità andine, sambe, rumbe, elementi di folklore cubano e argentino e molto di più si fondono alle timbricità del jazz più free…tutto a formare un osmosi perfetta, figlia di una sentita solidarietà verso tutto il popolo latino, sullo sfondo di un periodo storico difficile fatto di dittature, guerre e rivoluzioni. Forse il primo capitolo Latin America è quello più affascinante, con la coppia consecutiva Encuentros ed India e soprattutto la coinvolgente La china Leoncia Arreo La Correntinada Trajo Entre La Muchachada La Flor De La Juventud, con l’urlo estremo " la libertad la libertad"…ma uniche sono anche Lluvia Azul e La Podrida nel capitolo terzo “Viva Emilano Zapata”. Grazie a Gato compiamo in poco tempo un amorevole e illuminante psico-geografia nello sterminato continente tropicale…la sua musica rimane incantatrice come quella della donna nel quadro di Rousseau, di cui non vedremo mai il volto, ma coglieremo sempre estasiati il suo messaggio vitale.
Discografia